Implantologia: il rigetto dell’impianto non esiste
Si legge e spesso si sente parlare di rigetto dell’impianto dopo un intervento di implantologia. A proposito di questo argomento è il caso di fare un po’ di chiarezza.
Il rigetto in medicina può essere definito come l’attacco che il sistema immunitario genera su un organo trapiantato, riconosciuto dall’organismo come potenzialmente pericoloso. La mancata accettazione del nuovo organo da parte dell’organismo viene appunto chiamato rigetto. Questa definizione non è assolutamente applicabile per un intervento di implantologia.
Il rigetto dell’impianto non esiste
È vero che il rigetto dell’impianto può avvenire anche per un elemento inorganico come ad esempio può essere la vite dell’impianto. Quello però che caratterizza ogni intervento di implantologia è l’utilizzo di una vite di titanio, un metallo altamente biocompatibile. L’organismo riconosce il titanio come elemento simile a se stesso e quindi ne diventa un tutt’uno senza alcun tipo di controindicazione, men che meno un rigetto dell’impianto.
Per queste sue proprietà il titanio è molto utilizzato in molti altri ambiti della chirurgia: protesi ortopediche, neurochirurgia…
In nessun caso sono stati riportati episodi di intolleranza, allergia o rigetto al titanio da parte dell’organismo. Partendo da questi presupposti, parlare di rigetto per l’inserimento di un impianto dentale è decisamente fuorviante e sbagliato.
Le cause della perdita di un impianto
Come abbiamo anticipato nei paragrafi precedenti, quello che erroneamente viene definito rigetto è in realtà un fallimento dell’impianto.
Un fallimento implantare può verificarsi nel breve periodo, ossia nelle settimane immediatamente successive all’intervento oppure a distanza di anni dall’inserimento delle protesi dentali.
Il fallimento dell’impianto nel breve periodo è dovuto principalmente alle seguenti cause:
- micromovimenti da carico o da compressione di una protesi mobile provvisoria adiacente all’impianto;
- maggiore velocità di crescita del tessuto fibroso a scapito del tessuto osseo;
- ridotta stabilità primaria,
- mancata cura di un’infezione batterica preesistente o presenza di infiammazioni gravi a carico della gengiva.
È opportuno puntualizzare che ogni paziente può avere una diversa risposta all’intervento di implantologia. Per questo motivo è fondamentale personalizzare al massimo l’intervento scegliendo il tipo di impianto adatto allo specifico caso clinico e alla specifica densità ossea del paziente.
A queste cause possono aggiungersi alcune responsabilità da parte del paziente:
- mancato rispetto della profilassi antibiotica o delle terapie indicate nel pre e nel post intervento
- abuso di fumo o alcool
- scarsa igiene orale domiciliare
La causa invece di un fallimento implantare tardivo è sempre quasi dovuta a una grave infezione batterica che colpisce i tessuti che garantiscono all’impianto la sua stabilità. Clinicamente definita come perimplantite, la sua azione è molto simile a quella della parodontite e causa la perdita dell’impianto.
La perimplantite può essere scongiurata seguendo tutte le indicazioni dell’odontoiatra rispetto alla pulizia dell’impianto dentale e sottoponendosi a regolari visite di controllo e di pulizia professionale.
Campanelli d’allarme che indicano la perdita dell’impianto
I sintomi che dovrebbero allarmarci e farci immediatamente prenotare una visita di controllo dall’implantologo sono i seguenti:
- dolore nella zona in cui è stato inserito l’impianto;
- gonfiore sanguinamento;
- sensazione di un sapore metallico in bocca;
- mobilità dell’impianto.
In questi casi l’odontoiatra provvederà ad accertarsi della situazione attraverso degli esami diagnostici specifici e pianificare una terapia di adeguato intervento.
In questa fase è utile ribadire l’importanza delle visite periodiche di controllo perché l’occhio clinico dell’odontoiatra può immediatamente riconoscere eventuali segnali d’allarme che potrebbero sfuggire a chiunque altro.